Approfondimenti utili per capire meglio

I videogiochi possono migliorare alcuni aspetti della nostra vita?

Giocare ai videogames è un’attività dannosa? Secondo alcuni, il rilascio di dopamina durante l’attività ludica può finire per causare dipendenza. Due psicologi statunitensi, Christopher J. Ferguson dell’università di Stetson University e Patrick Markey docente all’università di Villanova, hanno, però, pubblicato sul New York Times uno studio dall’esito opposto. Secondo la ricerca, non vi è nessun modo di dimostrare che i videogiochi causino dipendenza, dato che il livello di dopamina rilasciato dal nostro cervello quando giochiamo è di molto inferiore a quello di chi assume sostanze stupefacenti. La verità è che questa accezione negativa nei confronti dei videogiochi parte da una visione sbagliata che si ha di essi. Quel che molti non sanno è che, in alcuni casi, possono aiutare sviluppare determinate aree del cervello.

La correlazione tra videogames e sviluppo della materia grigia non è cosa nuova, come dimostrano uno serie di studi sui benefici cerebrali dei videogiochi pubblicati su ilsentiero.net.

Qualche anno fa, una ricerca dell’Università di Rochester ha dimostrato che i giochi d’azione aiutano a prendere le decisioni più rapidamente. In quel caso si dimostrò che coloro che hanno giocato a Call of Duty 2 e Unreal Tournament si sono rivelati più veloci del 25% nel prendere decisioni rispetto a coloro che giocavano a The Sims 2.

Un’altra ricerca, questa volta condotta dall’Education Arcade del MIT di Boston ha mostrato come i giochi di strategia che richiedono molto ragionamento possono allenare a pensare prima di prendere le decisioni, e a comportarsi quindi con cognizione di causa.

Tutte queste ricerche si basano su un presupposto sostanziale: durante lo svolgimento di un videogioco, un giocatore deve attivare «risorse nascoste» che rimangono «dormienti» durante una qualunque altra attività normale. Detto in altri termini, quando si gioca, si combinano effetti visivi, tattili e uditivi che migliorano le capacità di e-learning di una persona. In questo modo l’individuo impara a collaborare con i suoi simili, a prendere decisioni più rapide e a sviluppare una maggior soglia dell’attenzione.

Che giocare ai videogames faccia bene è dimostrato anche dal fenomeno della gamification. Con questo termine si intende l’insieme di regole mutuate dal mondo dei videogiochi, che hanno l’obiettivo di applicare meccaniche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco.  L’espressione è stata introdotta per la prima volta in pubblico nel febbraio 2010 da Jesse Schell, un famoso game-designer americano, alla “Dice Conference” di Las Vegas.  Mediante questo approccio si punta, quindi, a migliorare la gestione dei clienti, consolidare la fedeltà ad un brand e migliorare il rendimento e le performance complessive da parte di dipendenti e partner.

Tutto parte dall’assunto che un individuo, se deve svolgere una normale attività quotidiana, ha un basso livello di stimoli e, conseguentemente, lavora peggio. Attraverso la Gamification si cerca di aumentare il grado di partecipazione ad un’attività. Per farlo si possono usare diversi benefit, dai punti crediti (nell’ottica di una possibile ricompensa), ai livelli (per ottenere determinati privilegi), fino alle classifiche (per aumentare la competitività).

Va detto che questo sistema nasce prima del 2010. Già agli inizi degli anni ‘80, in ambito lavorativo, veniva utilizzato in America, ad esempio dai rivenditori di auto, o nelle agenzie pubblicitarie. Recentemente è stato riscoperto e «sdoganato» anche in ottica clientelare, soprattutto con lo sviluppo degli smartphone e a piattaforme che, pur non nascendo con una funzione ludica, hanno sviluppato un canale a parte, favorendo il fenomeno di viralizzazione.

gioco fa sempre più parte della vita degli individui, aiutandolo ad avere un approccio diverso e più dinamico. Con buona pace dei suoi detrattori.